Ovvero le parole più tristemente abusate della psicologia contemporanea


    Ansia e depressione sono i due termini psicologici più in voga, i
disturbi psicologici che ognuno ha imparato a riconoscere nell’altro e
in se stesso, grazie alla straordinaria opera di generalizzazione e
superficializzazione che i media puntualmente portano avanti con
evidente successo.
  
    Queste due parole sono diventate il pass-partout per
ogni disagio, per ogni ostacolo, per ogni frustazione si incontri nel
nostro cammino quotidiano: ma l’abuso tanto massiccio nasconde una
minaccia subdola, infatti, come ci capita quando ripetiamo più volte la
stessa parola tra noi e noi, questa, col passare del tempo, inizia a
diventare più vaga, come se il significato che conosciamo se ne stesse
distaccando progressivamente, fino a trasformare la parola in puro
suono.

   E perdita di significato è anche il rischio che si corre
quando si vuole inserire nelle due macro-aree Ansia e Depressione ogni
segno di sconforto, paura, ossessione, confusione, perdita di punti di
riferimento e delle certezze di una vita, poichè il dirci: "sono
ansioso" oppure "sono depresso", non fa altro che relegare la nostra
individualità, il nostro qui e ora, in categorie generali,
spersonalizzanti, buone solamente per terapie farmacologiche o
impersonali.

    A questo poi si somma la demonizzazione del sintomo,
che si deve allontanare, combattere, distruggere, mandare via da noi ad
ogni costo: questo modo di affrontare ciò che ci perturba e ci spaventa
non fa altro che aumentare l’estranietà a noi stessi, al modo con cui
il nostro inconscio comunica che qualcosa sta cominciando a non
funzionare bene come una volta, che il nostro involucro attuale (la
nostra personalità) non è più adatto alle circostanze e ci chiede di
cambiare.