Contro la rigidità che ci impedisce di essere noi stessi



    Un ragazzo si stava preparando agli esami di stato
per diventare un alto funzionario dell’Impero Cinese; tutta la notte se
ne stava alzato a studiare alla luce della sua candela. Passò così
tutto il lungo inverno, finché i primi profumi della primavera non
iniziarono a penetrare dalle finstre della sua stanza.

    Il ragazzo si perdeva in quei profumi 
incantevoli e ne restava rapito per lunghi momenti durante i quali si
alzava dal tavolo di lavoro e si affacciava alla buia campagna dalla
finestra della sua stanza. Una notte, dopo un violento temporale, che
pulì l’aria lasciando così che tutti i profumi della notte arrivassero
ancora più nitidi e intensi alle delicate narici del ragazzo; si sentì
come sopraffatto dagli effluvi: fu allora che dovette chiudere gli
occhi.

    Fu solo ad occhi chiusi infatti che si sentì di
affrontare quell’onda olfattiva  che altrimenti lo avrebbe
sommerso: ed erano i profumi dei fiori chiusi nel loro bocciolo durante
la notte, e di muschi sugli antichi tronchi del giardino, della terra
bagnata e dei nidi nascosti tra i cespugli, foderati di tenere piume.

    Mentre si stava perdendo fra gli effluvi e gli aromi
della campagna notturna, sentì improvvisamente un odore strano e
sconosciuto: tanto meraviglioso e gentiile che subito rapì il cuore e
le narici del ragazzo.

    Sentì una forza nuova dentro che lo spingeva a
uscire per seguire quel profumo così straordinario; sempre ad occhi
chiusi si addentrò per i sentiri del giardino, procedendo a tentoni
nella notte scura, seguendo solo l’olfatto e il suo cuore. Grazie alla
sua sensibilità, tanto aumentata dalle tante notti passate a sognare
gli odori della notte, riuscì ad arrivare sotto un grande oleandro, che
stava in un angolo nascosto del giardino, ai piedi della maestosa
pianta, ne era sicuro, doveva essere la creatura che era la fonte di
quel sublime effluvio.

    Il ragazzo si avvicinò delicatamente e trasse un
profondo respiro: voleva portare con se, nella sua stanza, illuminata
dalle candele, il ricordo di quell’odore di sogno. Trattenne il respiro
fino a dentro la stanza, quindi aprì gli occhi e soffò con tutta la
forza su di una candela, che rischiarava la stanza, restituendo il
profumo che aveva assorbito.

    Aperse gli occhi soltanto allora e vide che la
fiammella della candela si era dilatata sotto il suo fiato e al centro
era comparsa una meravigliosa fanciulla, che vedendolo, gli si rivolse
così: "Tu mi hai evocato con l’incantesimo del fuoco, io la figlia del
Drago adesso ti chiedo cosa desideri da me."

    Il ragazzo rispose d’impeto: "Ti voglio mia sposa!"
e lei rispose: "Raggiungimi al trono di mio padre, e sarai mio sposo!
Però prima spegni la candela."

    Così fece e in un istante la fanciulla scomparì
nella notte ancora umida dal temporale; il ragazzo comprese che ce
l’avrebbe fatta soltanto ad occhi chiusi, che solo così avrebbe potuto
seguire di nuovo quell’odore sublime.

    Si immerse nella notte, seguendo l’odore delle
viuzze di campagna e degli alberi appena fioriti, che facevano da
contorno al profumo della figlia del Drago, che si allontanava nel
buio. Percorse così la campagna sentendo gli odori dei campi appena
arati, degli animali addormentati nelle stalle, dei fossi dove placide
graccidavano le rane, dei canneti dove le uova delle anatre si stavano
schiudendo.

    Ad un tratto una voce lo fermò e gli disse di sprire
gli occhi: era giunto fino alla sala del Palazzo del Drago, una sala
piena di principi e dignitari, ricca di sfazo e lusso fino
all’inimmaginabile, il Drago, dall’alto del suo trono di perla così
continuò:" So già tutto, ragazzo. Il Dio del vento aveva rapito una
delle mie figlie durante la tempesta di questa notte e tu l’hai
richiamata con l’incantesimo del fuoco, ma poi, spegnendo la fiammella
le hai restituito la libertà. Te ne sono grato. E adesso sei qui, sei
riuscito a seguirla fino qui, nel luogo più misterioso del mondo, la
sala del Drago. Tuttavia io posso concedertela solo se riuscirai a
distinguerla di nuovo dalle misere creature terrestri.."

    Fece chiudere di nuovo gli occhi al ragazzo, e fece
entrare le cento figlie: un’onda maestosa di profumo allagò la sala e
il ragazzo si sentì sommergere da qui sublimi odori senza poter essere
in grado di scegliere quale fosse la sua amata.
   
    "Prova allora con gli occhi aperti, ragazzo!" gli intimò il Drago, deluso dalla sua incapacità.

    Cento bellissime ragazze nude erano adesso difronte
al ragazzo, la loro bellezza e maestà lo lasiavano senza fiato e senza
parole, incapace di esprimere la scelta; il Drago capì e con un cenno
fuggevole le fece sparire dal salone: il ragazzo adesso era disperato,
non era riuscito nemmeno con gli occhi a riconoscere l’amata fra le
cento figlie del Drago.

    Gli venne concessa l’ultima possibilità: dato che la
bellezza lo aveva accecato le figlie si sarebbero ripresentate sotto
l’aspetto ripugnante che acquistavano per difendersi quando sentivano i
giganti avvicinarsi per rapirle. Rientrarono nella sala cento 
creature mostruose, deformi e repellenti: il ragazzo solo a stento
riusciva a trattenersi dal fuggire inorridito.

    Anche così, non seppe riconoscere la ragazza che
diceva di amare, e il suo cuore si colmò di una tristezza infinita fino
a che il dolore dell’insuccesso non lo sciolse in calde lacrime per il
fallimento.

    Ad un tratto, si accorse che le lacrime avevano reso
più acuto il suo sguardo, come se portasse dei cristalli levigati
sugli occhi: adesso attraverso quelle lenti d’acqua salata riusciva
distintamente a distinguere che una ragazza aveva riacquistato le
sembianze usuali di splendida creatura, e si stava coprendo, unica, le
nudità: né la maestosità della bellezza, né l’orrore della deformità le
facevano più da travestimento e si sentiva nuda..

    Solo attraverso  le lacrive l’aveva potuta riconoscere.

    Si sposarono e il ragazzo rimase con lei nel paese
dei draghi, per sempre, e non si curò mai più di terminare gli esami di
stato per diventare un alto funzionario dell’Impero Cinese.

    "L’Amore e la Conoscenza sono la stessa cosa, ciò che li distingue è il grado di sofferenza"

    (Tratto liberamente da "Lacrima" di Bela Balazs, ne "Il libro delle Meraviglie" – 1948)